L'ANGOLO DELLA VIGNA
di Anna Schneider

Biotecnologie "buone" in viticoltura

Mentre una ventina di anni or sono l'impiego di biotecnologie in agricoltura fu salutato come un evento di grande portata ai fini dello sviluppo e del progresso del comparto, capace di dare avvio ad una seconda e più efficace "rivoluzione verde", la contrarietà di molti in merito agli organismi geneticamente modificati ha raffreddato a tal punto gli entusiasmi da far oggi ritenere queste tecniche genericamente pericolose o nocive.
Ma non tutte le biotecnologie, in realtà, sono finalizzate alla produzione di ogm. Per quanto riguarda la vite, in particolare, tecniche che non comportano alcun trasferimento genico sono applicate per esplorare il genoma o il proteoma della pianta, oppure per ottenere materiale di propagazione esente da virus (risanamento). Vediamo in che cosa consiste quest'ultima tecnica.
Come altre specie di interesse agrario, la vite può essere infetta da virus che, pur raramente provocando la morte della pianta, ne alterano la morfologia e ne disturbano la fisiologia con effetti spesso gravi su aspetti quantitativi e qualitativi dello sviluppo e della produzione. Non essendo le malattie virali curabili con trattamenti in campo, l'unico modo per controllarle rimane la prevenzione, ovvero l'impianto con materiale di propagazione sano.
Per questo la selezione clonale è condotta con particolare rigore anche per quanto attiene agli aspetti sanitari: attualmente sono nove le malattie e gli agenti virali da cui un clone non deve essere affetto per poter essere omologato. Ciò comporta che in alcuni casi, pur esaminando molti genotipi, non sia possibile reperirne alcuno esente da tutte queste malattie, situazione particolarmente frequente in aree viticole dove l'incidenza delle virosi è elevata o in vitigni di modesta diffusione, spesso caratterizzati da popolazioni ristrette.
Si procede pertanto al risanamento dei cloni infetti essenzialmente mediante due tecniche: la termoterapia e la coltura di meristemi - spiega Ivana Gribaudo del Centro Miglioramento genetico della Vite del CNR di Grugliasco (TO), dove queste tecniche si applicano da alcuni anni. La prima consiste nel sottoporre il materiale ad una temperatura sufficiente ad eradicare gli agenti virali, sensibili al calore, senza provocare la morte della pianta, raggiungendo i 35-38 °C per alcune settimane.
La seconda, applicata alla vite da una decina di anni, si basa sul fatto che le particelle virali sono assai rare o disturbate nel loro metabolismo nelle porzioni apicali di germogli e radici, i meristemi appunto: la piantina che si sviluppa dal meristema della gemma apicale è molto probabilmente sana (ovviamente la sua condizione dovrà essere confermata dai saggi virologici). Sia per il prelievo dei meristemi che per la crescita e la moltiplicazione delle piantine si utilizzano naturalmente tecniche di coltura in vitro e la stessa termoterapia può avvenire con successo su piantine allevate in vitro. Poiché le due tecniche hanno diversa efficacia a seconda del tipo di virus, si potrà scegliere quale applicare in base alle condizioni del materiale da risanare.
Numerosi cloni risanati da virosi di varie cultivar sono stati ottenuti negli ultimi anni, frutto dell'impiego di biotecnologie. Le quali, pertanto, possono anche in viticoltura avere scopi di pratica utilità che nessuno, ci auguriamo, pensa di mettere in discussione. Biotecnologie "buone", dunque, o, come si comincia a dire, biotecnologie "sostenibili"; distinte dalle "cattive", ammesso che di biotecnologie "cattive" sia il caso di parlare.
Ma siamo proprio certi che esistano delle biotecnologie di per sé "cattive"?