L'ANGOLO DELLA VIGNA
di Anna Schneider

Analisi biomolecolari per l'identificazione dei vitigni

Non tutte le biotecnologie servono a produrre organismi geneticamente modificati (ogm). Già si è scritto a proposito di tecniche biologiche applicate alla vite, che permettono di eliminare dannose malattie virali con lo scopo di migliorare e certificare il materiale di propagazione. Biotecnologie "buone" (come alcuni le ritengono, perché non specificatamente destinate all'ottenimento di viti gm) sono da considerarsi anche quelle capaci di identificare i diversi vitigni, evidenziando in ciascuno quell'unica, irripetibile "impronta digitale" che fa distinguere un organismo dall'altro. Vediamole più da vicino. Nate e sperimentate in un primo tempo su altre specie, sia vegetali che animali tra cui l'uomo, queste tecniche biomolecolari hanno cominciato ad essere applicate alla vite una quindicina di anni or sono, quando con le prime procedure di fingerprinting si è dimostrato che era possibile distinguere vitigni diversi analizzandone porzioni del genoma, in modo sufficientemente rapido e relativamente semplice.
Da allora grandi passi sono stati compiuti verso una sempre maggiore semplificazione, affidabilità ed economicità delle tecniche, che sono oggi alla portata di numerosi laboratori. Le più utilizzate prevedono l'esame del DNA nucleico mediante marcatori, ovvero porzioni della molecola dell'acido desossiribonucleico che si possono separare, evidenziare ed analizzare: sono proprio questi elementi a indicare "marcandole", cioè evidenziandole, le differenze nella struttura del DNA di un organismo rispetto ad un altro. Marcatori tra i più usati sono i microsatelliti che, oltre ad una buona ripetibilità e riproducibilità, hanno il vantaggio di essere altamente polimorfi: le probabilità cioè che due cultivar diverse presentino uno stesso profilo sono estremamente basse con questi marcatori.
Val la pena a questo punto ricordare che l'estrazione del DNA dai vari organi della pianta (parti verdi o materiale di propagazione legnoso) è un'operazione piuttosto semplice e che l'estratto ottenuto è poco deteriorabile, conservabile a temperatura ambiente per un periodo piuttosto lungo e dopo surgelazione anche per molto tempo. Se l'identificazione di un vitigno con tecniche biomolecolari è dunque possibile, possono essere distinti i diversi genotipi all'interno di una cultivar? Per ora non se ne hanno risultati convincenti, ma sono in molti a ritenere che alcuni marcatori del genoma potrebbero essere in grado di evidenziare anche le differenze tra i singoli individui, o che queste potrebbero essere studiate mediante l'analisi del proteoma, rendendo dunque possibile in futuro la certificazione dei cloni di vite per via biomolecolare. Infine, si è provato ad esaminare mosti e vini per il loro contenuto in DNA e da questo risalire alla cultivar (o alle cultivar) da cui l'uva proveniva. Ciò è risultato agevolmente possibile per i mosti, mentre nei vini, tanto più se ad affinamento ultimato, malgrado non vi sia alcun problema d'interferenza con il materiale genetico proveniente da lieviti e batteri, il DNA originario dell'uva pare troppo esiguo quantitativamente per permettere l'identificazione del vitigno. Questo almeno per quanto si sa fino ad ora. Ma i progressi in questo settore sono talmente rapidi che, forse, la certificazione biomolecolare di questa antica bevanda diventerà quanto prima realtà.