L'OPINIONE DEL PRESIDENTE
di Moreno Soster

I vini dell'Est

I puttonyos sono piccoli tini da trenta litri in cui sono pigiati i grappoli, sovrammaturi e attaccati dalla forma larvata della Botrytis, del vitigno Furmint. Un numero variabile di puttonyos di polpa zuccherina è unito ad un barile di vino di un anno. La fermentazione avviene lentamente ed il vino che se ne ottiene è fine con una ricchezza di profumi ed aromi annegati in una burrosa dolcezza. È il Tokaj che si produce nelle colline vulcaniche ungheresi, accarezzate in autunno da correnti calde e umide che favoriscono la maturazione lenta e intensa dell'uva.
Un vino altrettanto dolce ed affascinante, già noto ai templari del XII secolo che si fermavano a Cipro, è il Commandaria che si ottiene da uve Xynisteri e Malvasia, appassite su cartoni lasciati a terra nei vigneti, quindi vinificate, leggermente alcolizzate e invecchiate per oltre dieci anni. I profumi sono d'uva passa e caramello, in bocca rimane il nettare.
Due fermo immagine di una viticoltura e di un'enologia dell'Europa centro-orientale che, con l'ormai prossimo allargamento dell'Unione Europea a dieci nuovi Paesi, si affaccia in modo nuovo al mercato europeo e mondiale del vino. Tra questi abbiamo realtà storiche e d'assoluto riferimento come l'Ungheria e, in parte, la Slovenia, cui si uniscono paesi orientati un tempo soprattutto al fabbisogno interno come le Repubbliche Ceca e Slovacca, per finire con relativamente piccole produzioni abbastanza originali come le cipriote.
La prima riflessione è senz'altro la soddisfazione di potere avvicinare vini pensati e realizzati in maniera abbastanza diversa da quella cui la classica vitivinicoltura europea ci ha abituato. Vitigni autoctoni, particolari tecnologie di vinificazione e d'affinamento, alcune peculiarità organolettiche ricorrenti (la dolcezza, anche nei rossi, e le note aromatiche vibranti) ci propongono nuovi scenari di fascino per la curiosità enologica.
Ma l'adesione di questi nuovi Paesi implica anche la necessità di ripensare gli aspetti produttivi ed economici di un settore viticolo europeo che ha un equilibrio delicato (tra mode eno-gastronomiche, cali dei consumi e dibattiti salutistici) al punto tale da essere sottoposto ad una norma comunitaria molto rigida.
Da un punto di vista varietale, oltre ai vitigni autoctoni, tradizionalmente nei Paesi dell'Europa centrale e orientale sono ampiamente coltivati i più cosmopoliti vitigni francesi (Pinot, Merlot, Cabernet sauvignon, Chardonnay, Sauvignon) e tedeschi (Riesling, Sylvaner) che alimentano le produzioni enologiche di punta dei produttori europei occidentali, ma anche delle cosiddette nuove viticolture extraeuropee.
Strutturalmente i Paesi vitivinicoli che entreranno nell'Unione risentono di un lungo periodo di organizzazione economica pianificata che ne ha condizionato gli schemi e gli obiettivi produttivi. Dalle aziende di stato e dalle cooperative, negli anni '90, questi Paesi hanno avviato un periodo di transizione non ancora del tutto completato che ha posto le basi per un progressivo avvicinamento all'economia di mercato.
Anche la restituzione delle terre agli antichi proprietari ha rimesso in discussione profondamente le dinamiche aziendali e di proprietà. In realtà dalla proprietà collettivizzata si è passati alla privatizzazione e parcellizzazione delle terre cui è seguito un successivo ritorno a forme associative di conduzione della produzione, della trasformazione e della commercializzazione. Accanto a questi percorsi interni, simili tra loro ma con alcune differenze da Paese a Paese, si è assistito ad una progressiva penetrazione di aziende e capitali stranieri. Frequentemente si tratta di imprese che già operano nel comparto vitivinicolo a livello multinazionale e che vedono questo spostamento ad Est della produzione come una possibilità di ampliamento di gamma, ma soprattutto come una dislocazione delle unità produttive in zone ambientalmente vocate ed economicamente più redditizie.
Non si possono dimenticare infine le attese di questi Paesi nell'ottenimento di sostegni comunitari alla produzione e alla commercializzazione di cui hanno goduto finora le viticolture europee occidentali quale contropartita dei vincoli cui erano sottoposte. In realtà il bilancio comunitario, pur con una redistribuzione dei sostegni agricoli diversa tra stati vecchi e nuovi, non consentirà probabilmente a questi ultimi di ottenere le stesse opportunità assicurate in passato.
Il quadro complessivo si presenta quindi estremamente articolato e ancora in piena evoluzione. Certo ci si attende che i diversi livelli di governo (comunitario, nazionale, locale) possano assicurare una gestione dell'allargamento ad Est del vigneto europeo che garantisca una continuità nella politica della qualità, del legame vino-territorio e dello sviluppo delle differenze (nuovi prodotti e sapori), mentre è da evitare ogni azione speculativa che possa perturbare il cammino qualitativo intrapreso dalla viticoltura comunitaria, le prospettive produttive dei nuovi Paesi membri e la tutela dei consumatori.