L'OPINIONE DEL PRESIDENTE
di Moreno Soster

Locomotive Biotech

Il Piemonte ha assunto una posizione originale ed unica sulla questione degli organismi geneticamente modificati (OGM) utilizzati in agricoltura.
Per il momento si tratta di biotecnologie applicate a specie interessanti le grandi colture, in particolare soia e mais, mentre il mondo vitivinicolo sembra poco coinvolto dal fenomeno.
Se è vero che le attuali conoscenze del genoma dell’organismo vite sono insufficienti a consentire repentine applicazioni di OGM in viticoltura, è altrettanto vero che i tempi potrebbero essere molto brevi per gli organismi artefici del processo enologico, quali lieviti e batteri, i quali presentano una loro relativa semplicità “strutturale” ma, soprattutto, che risentono direttamente del grande sviluppo scientifico e tecnologico nell’applicazione delle modificazioni genetiche microbiologiche in ambito farmaceutico.
Questo significa che sarà abbastanza facile avere a disposizione lieviti e batteri ad uso enologico derivanti da processi produttivi che prevedono l’uso di tecniche di manipolazione del loro corredo genetico.
È sicuramente interessante poter gestire tecnologie applicate ad esseri viventi sulla base di una cultura scientifica sempre più sofisticata ma a questo, mi pare, non corrisponde un analogo approfondimento “filosofico” sul significato del loro impiego.
In questa situazione un po’ confusa, la liceità nell’adozione degli organismi geneticamente modificati è sostenuta perlopiù da riflessioni di economia aziendale. Forse non è un approccio sufficiente.
Una prima domanda da porsi è se le conoscenze che stanno alla base delle biotecnologie applicate alla genetica possano essere di proprietà di qualcuno.
Recentemente ho sentito un ricercatore che discriminava tra il gene, che non è brevettabile, ed il meccanismo di funzionamento di quel gene, che invece lo è. Si tratta di un’osservazione che comincia a spostare il colpo d’occhio dall’essere vivente e dal suo corredo genetico (che sono naturali e quindi non brevettabili) alla conoscenza che è stata creata su quel particolare gene che è invece sfruttabile economicamente. A questo punto diventa essenziale capire chi può creare questa conoscenza e come essa possa essere utilizzata.
Occorre quindi una seria riflessione che definisca in maniera chiara i confini tra la ricerca svolta con fondi pubblici, e che quindi è disponibile per l’intera collettività, e la ricerca privata che ha precisi obbiettivi di guadagno. E questo in un campo che riguarda le basi genetiche della vita.
Ma un’altra domanda da porsi è per quali sistemi produttivi siano realizzati gli OGM. Se in un primo tempo si pensava che essi fossero la nuova frontiera per qualunque sistema produttivo, si è visto che nel settore agro-alimentare essi hanno trovato forti resistenze.
Il rapporto con il cibo, le tradizioni culturali ed i precetti religiosi, che ho esaminato in una precedente opinione* , sono stati probabilmente i catalizzatori di questa reazione negativa nei confronti degli organismi geneticamente modificati che entrano nella nostra alimentazione.
I ricercatori hanno cercato di razionalizzare questo atteggiamento considerandolo una paura ingiustificata verso qualcosa di nuovo e di poco comprensibile, ma le loro spiegazioni sugli aspetti nutrizionali, sui limitati o nulli rischi tossicologici ed ambientali non hanno sortito gli effetti desiderati.
Probabilmente perché non era quello l’approccio adatto alla discussione. Nessuno in questo momento è ragionevolmente in grado di prevedere i reali sviluppi delle biotecnologie applicate al genoma ma è evidente che prevale per ora la volontà di potere scegliere tra ciò che è OGM e ciò che non lo è.
Le aziende vogliono poter scegliere liberamente il proprio modo di produrre così come i consumatori desiderano alimentarsi con i cibi che ritengono più opportuni. E si tratta di scelte “naturalmente” economiche in un libero mercato, con relativi costi e benefici, ma pur sempre scelte e non obblighi.
Avere uno sguardo attento all’uso degli OGM non significa demonizzare lo sviluppo della scienza. Non si deve avere il comportamento di chi agli inizi dell’Ottocento aveva timore delle locomotive.
Ma, mi chiedo, se non sia bene riflettere fin d’ora su chi guida le locomotive e se le locomotive servano ovunque.
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* Oicce Times - Inverno 2002