L'OPINIONE DEL PRESIDENTE
di Moreno Soster

Competitività globale

 

Sfogliando i giornali, in particolare le pagine finanziarie, ci accompagna un sentimento di disorientamento e frustrazione per una realtà economica che non “gira” come vorremmo. Eppure sono stati adottati interventi normativi di sostegno, nelle aziende si lavora duramente per limare costi e guadagnare qualche fettina di mercato, e tutti quanti cercano soluzioni adeguate.
Probabilmente l’essere competitivi nell’era della globalizzazione deve partire dalla consapevolezza che ci stiamo muovendo in un mondo mai considerato prima: un mercato praticamente infinito ma tutto da decifrare, misurare, ricondurre a dimensioni economicamente percepibili; un’impresa che deve aprirsi ma che ancora troppo spesso non osa o non è in grado di farlo; un sistema economico allargato che parla lingue ancora troppo diverse. In un cult movie di oltre vent’anni fa, il protagonista dettava una massima che fece epoca: “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”, che sembra un urlo di violenza ed arroganza assoluta, se non fosse stato espresso ed interpretato da un personaggio sempre incline alla mediazione ed alla creatività a fini benefici. Proviamo a coglierne il senso, magari filtrato dalla nostra piccola esperienza di OICCE.
Ogni azienda, vitivinicola o enomeccanica, che voglia rimanere viva e vitale, si trova nella necessità di produrre ad un costo che ragionevolmente le consenta di mantenere, e magari incrementare, la propria quota di mercato, maturando un tornaconto coerente con l’impegno profuso.
Il tam-tam dei giornali le conferma due necessità essenziali per far fronte al cambiamento, in senso estensivo, del mercato: aumentare l’innovazione, per fare crescere il valore aggiunto del prodotto e per distanziarsi dai concorrenti; aumentare le dimensioni, per poter alimentare economie di scala ed accrescere il potere contrattuale sul mercato di riferimento. Ho parlato finora di mercato, perché le politiche dei trasporti, finanziarie e commerciali stanno orientandosi su logiche mondiali, ma in realtà viviamo ancora una situazione di mercati locali assai diversi, che lentamente si stanno armonizzando in una dimensione globale: pensiamo al costo della manodopera, alla qualità della vita lavorativa, ai rapporti dell’impresa con l’ambiente, ai vincoli normativi ed alle agevolazioni fiscali presenti nelle diverse aree economiche mondiali. Ma anche più semplicemente ai diversi livelli di ricchezza o povertà che generano bisogni molto differenti.
Senza pretese di fornire chissà quali soluzioni, ma al tempo stesso ben consapevole che non possiamo fare finta di niente, ripropongo in una diversa modulazione la mission di OICCE: il rovesciamento della logica dell’individualismo esasperato per dare nuove reali prospettive al lavorare insieme. Se di ricerca e di innovazione abbiamo bisogno, perché reputiamo che questo sia realmente uno strumento di competitività della nostra azienda, allora dobbiamo sondare attentamente i nostri bisogni e renderli espliciti ai “professionisti della ricerca” pubblici e privati, sostenendoli finanziariamente (anche avvalendosi delle ampie possibilità di cofinanziamento che la politica attuale sta mettendo a disposizione per il settore), seguendoli e creando insieme l’innovazione giusta, cioè adeguata all’azienda e alle sue logiche produttive e commerciali.
Tale sinergia avrebbe effetti positivi per entrambi: per l’azienda con una ricerca condotta da persone scientificamente e tecnicamente preparate e aggiornate; per l’istituto di ricerca con la possibilità di orientare la creazione di conoscenza sulla base di bisogni espliciti e concreti.
Naturalmente questo lavorare insieme deve essere permanente e non episodico, così come deve irrobustirsi la consapevolezza aziendale che l’investimento in ricerca sia altrettanto importante di quello strutturale o di assetto commerciale. Se viceversa ci rivolgiamo al necessario ripensamento delle dimensioni aziendali, una via è senz’altro quella delle fusioni, che si adatta meglio al mondo industriale multinazionale piuttosto che alle aziende legate al mondo agricolo.
Per queste deve prevalere una logica di crescita “territoriale”. Soprattutto quando, come nel caso vitivinicolo ed enomeccanico, le aziende operano in distretti produttivi piuttosto specializzati, che contengono al loro interno le diverse componenti della filiera e possono quindi gestire in forma armonica sia gli sviluppi produttivi sia le azioni sul mercato, ma su un livello dimensionale ben diverso da quello della singola azienda.
Agire su un livello sovra-aziendale significa però confrontarsi con prospettive affascinanti ma ardue come la programmazione multi-aziendale, la condivisione degli obbiettivi di mercato, la fiducia reciproca e il senso di appartenenza al gruppo.
Di fatto una perdita di autonomia della singola azienda per fare crescere una squadra di aziende che operano in collegamento tra loro, per fornire prodotti più complessi e meno riproducibili in quanto espressione di un territorio.
Ma questa crescita culturale non può prescindere dal fatto che anche le scelte politico-amministrative territoriali sviluppino questo percorso virtuoso, ripensando le proprie logiche di sostegno e favorendo una migliore capacità di lavoro sinergico tra Enti locali, Stati membri e Unione europea.
Un volo un po’ troppo alto? Probabilmente sì, in tempi brevi.
Ma il nostro domani è troppo complesso e affascinante per permetterci di non pensarci già oggi.
E con grande attenzione. Noi di OICCE abbiamo già cominciato.