L'ANGOLO DELLA VIGNA
di Anna Schneider

 

Vitigni del sole e del vento

Vi sono molti modi di classificare le varietà di vite e uno di questi riguarda la loro attitudine a… viaggiare, ad aver cioè saputo adattarsi (e dunque stabilirsi) in nuovi luoghi di coltura, geograficamente distanti da quelli originari.
Alcuni vitigni, che potremmo definire “stanziali”, si sono allontanati poco dal luogo d’origine (pur avendo magari qui un’ampia diffusione), o perché non coinvolti nelle migrazioni dei popoli che li allevavano o perché poco adattabili ad ambienti colturali diversi.
Classico esempio è il “difficile” Nebbiolo: in quasi otto secoli documentati di vita e malgrado la rinomanza dei suoi vini, non si è mai allontanato dall’arco alpino Centro-Occidentale e dalle colline del Piemonte, in cui tra l’altro è concentrato su di una superficie piuttosto modesta.
Del tutto diverso è invece il caso del Grenache o Garnacha tinta. Da secoli lo si può trovare non solo nelle plaghe assolate di Spagna e della Francia Meridionale, ma anche in Corsica e abbondantemente in Sardegna (Cannonau), in Liguria (Granaccia), nell’Italia Centrale (dove prende il nome di Alicante, Vernaccia nera e perfino di Gamay) e addirittura in una piccola area del Nord-Est d’Italia (Tocai rosso).
Vi sono poi vitigni, come i Pinot e il Riesling renano, quasi certamente originari del Centro Europa, che amano gli ambienti più freschi, estati brevi e autunni asciutti: introdotti in luoghi troppo caldi, quando non soccombono al vento e alla siccità, i loro vini si spogliano di finezza ed eleganza.
Altre viti, invece, sono fatte per crescere nel sole e nel vento: sono i vitigni delle piccole isole e delle coste più aride del Mediterraneo, vitigni che amano il mare e al mare devono la loro diffusione.
Sì, perché alcuni di questi sono… vitigni “marinari”, nel senso che hanno viaggiato molto, per mare appunto, tanto da esser presenti in numerose seppur piccolissime aree colturali disseminate per il Mediterraneo.
Proprio di uno di questi vitigni vorrei parlare.
È una varietà che mi ha sempre incuriosito per le caratteristiche morfologiche particolari che la fanno ben distinguere da altri vitigni: foglia glabra con seni profondi, a superficie liscia e lucida, grappolo spargolo, acini a buccia spessa di un bel colore giallo ambrato a maturità, a sapore aromatico.
Visitando alcune collezioni ampelografiche ed analizzando descrizioni di cultivar di vite, avevo avuto modo di vedere che, seppur con denominazioni (almeno in parte) diverse, questo vitigno era coltivato in numerose aree costiere o isolane.
Il contributo di ricercatori italiani, spagnoli e croati ad un convegno sulle Malvasie svoltosi a maggio in Croazia ha offerto conferme alle mie osservazioni e ulteriori informazioni.
Si tratta della Malvasia delle Lipari o Malvasia di Sardegna, secondo i nomi (per la verità sinonimi) con cui il vitigno è compreso nel Catalogo italiano delle varietà di vite.
In Italia è coltivato non soltanto lungo la costa settentrionale siciliana e nelle isole Eolie (ben nota è la DOC Malvasia delle Lipari) e in Sardegna (due DOC: Malvasia di Cagliari e di Bosa), ma anche in Calabria, e precisamente nell’area di Bianco e di Gerace sulla costa ionica, dove è chiamato Greco.
In questi luoghi, costieri o isolani, se ne ottengono, previo appassimento delle uve, vini dolci e aromatici, talvolta liquorosi.
Le stesse tipologie di vino vengono prodotte con questa Malvasia intensamente aromatica anche in Spagna, sempre nelle isole o in regioni costiere. Una piccola produzione è concentrata a Sud di Barcellona (Malvasia de Stiges e de San Pere de Ribes), mentre un tradizionale luogo di coltura e oggi centro di nuova valorizzazione sono le isole Canarie, da dove fin dal sedicesimo secolo si esportava il celebrato Canary, a base di Malvasia, apprezzato dai più famosi personaggi d’Europa.
Sulla rotta per le Canarie non poteva mancare l’isola di Madeira, dove, tra le molte Malvasie qui giunte, la Malvasia candida corrisponde al nostro vitigno.
Verso Est, lo si ritrova ancora sulla costa dalmata, presso Dubrovnik ,mentre a inizio Novecento era coltivato anche nell’assolata isola di Malta, nel cuore del Mediterraneo.
Per quanto si sa fino ad ora, non sembra celarsi tra le Malvasie greche (per lo meno non tra le principali). Stando alla ben nota presunta origine peloponnesiaca delle Malvasie, ciò appare curioso, ma è anche possibile che questo vitigno “marinaro”, dalle aree colturali puntiformi, oggi segnalato nel solo Mediterraneo Centro-Occidentale, sia in realtà presente anche ad Oriente e proprio da lì abbia mosso i primi passi verso Ovest, veleggiando nel sole e nel vento.