L'ANGOLO DELLA VIGNA
di Anna Schneider

 

L’uva “buona presso casa”

Più che alla vigna, vorrei questa volta dare uno sguardo all’angolo… di un giardino, di un orto, curiosare vicino alle case, dentro un perimetro domestico e familiare.
Protagonisti di questi spazi privati sono generalmente vitigni ben diversi da quelli oggi allevati per usi commerciali.
Ciò perché è diversa la funzione di queste viti di casa, utilizzate per il consumo familiare, per il loro effetto ornamentale, oltre che per la capacità di proteggere dal sole, dal vento o dagli sguardi indiscreti con il rigoglio estivo di tralci e foglie.
In realtà, al giorno d’oggi, nei giardini e negli orti familiari spadroneggiano le uve americane ed i loro ibridi, creati a partire dalla seconda metà dell’Ottocento e ben presto in auge, soprattutto nelle regioni più fresche, per la loro tolleranza nei confronti dei parassiti fungini. Ma non è sempre stato così, ed anzi vi è un vitigno europeo, tipico dei climi meno caldi, che si potrebbe dire particolarmente legato all’impiego familiare, come uva da tavola, da serbo e perfino da vino.
Si tratta della Luglienga, un’uva bianca precoce e deliziosa, conosciuta, almeno nel nome, proprio da tutti. Ma non a tutti, forse, è noto il fatto che la Luglienga è un vitigno antico, i cui primi riferimenti in Italia risalgono ai primi decenni del 1300.
Le citazioni si fanno più frequenti dal Cinquecento per giungere alle descrizioni spesso assai accurate degli ampelografi ottocenteschi.
Sono proprio questi studiosi a ritenerla originaria dell’Italia Settentrionale, anche se il suo areale di diffusione è stato amplissimo e non comprende solo il resto del nostro Paese, ma gran parte delle regioni viticole europee, dalla Spagna all’Ungheria.
In Europa è forse uno dei vitigni più citati e più descritti: ad esempio in Francia, dove era chiamato anche Jouanen, alludendo ad una un po’ troppo ottimistica precocità di maturazione, in Germania, dove ancora recentemente se ne sono trovate piante in vecchissimi vigneti, in Inghilterra, dove era coltivato in serra.
Sempre in ambiente protetto era ben presente in Belgio e in Olanda, mentre nella Mosella, in Austria, Svizzera e lungo il Danubio era allevato all’aperto, nei vigneti e soprattutto nei giardini.
Lugliatica, Luigese, Lignenga, Lugliola, Lugliesa, Algnenga sono i nomi con cui è o era conosciuto in Italia; in Trentino, era chiamato Bona in ca (ovvero “buona presso casa”), denominazione che meglio non potrebbe indicarne il carattere domestico.
Un vitigno per i paesi freddi per via non solo della precocità di maturazione, ma anche per la spiccata resistenza ai rigori invernali, perché i tralci lignificano sempre con grande anticipo e in modo completo.
Ma non sono solo questi i pregi della Luglienga: l’uva ha un sapore gradevolissimo, un aspetto attraente, si conserva a lungo sulla pianta e in fruttaio ed è perfino resistente ai trasporti.
Neppure il vino di Luglienga è disprezzabile, anzi, secondo alcuni, di gusto eccellente e di aroma originale. Incredibile, poi, è la vigoria delle viti di Luglienga: Pulliat nel 1897 scrive che nella dimora del Conte di Rovasenda a Verzuolo, presso Saluzzo, un’unica pianta dell’età di non più di 50 anni, cresciuta sulla riva del vicino torrente, si sviluppava lungo un muro per una sessantina di metri prima di ricoprire con i suoi tralci tre facciate della casa e due gallerie.
Straordinaria anche la longevità: ancora Pulliat racconta di aver visto, sempre a Saluzzo, un’immensa Luglienga, vecchia di almeno due secoli, ricoprire a pergola un intero vastissimo cortile adibito a caffè e a ballo all’aperto.
Anche se dubito che la vite di Saluzzo abbia resistito alle vicende e ai restauri del caseggiato, è vero che ancora oggi, nei giardini e nei cortili di dimore storiche piemontesi, ho ritrovato proprio piante di Luglienga, sempre vecchissime, far occhieggiare grappoli giallo ambra dalle pergole, dalle terrazze, dai balconi, segno di un’inesauribile, commovente vitalità.