L'ANGOLO DELLA VIGNA
di Anna Schneider

 

Le sorprese del Nebbiolo

Pochi vitigni sanno essere affascinanti, ma nello stesso tempo difficili, ostici e problematici come il Nebbiolo.
Alcuni giornalisti anglosassoni gli riservano l’appellativo di “fussy”, a indicarne l’indole schizzinosa ed esigente. Bene lo sa chi all’estero prova a cimentarsi con questo prezioso protagonista dell’enologia italiana: salvo rarissimi casi, che sarebbe ingeneroso non definire riusciti, il Nebbiolo si esprime in vigneto con un vigore disordinato e ribelle, con una produttività incostante, con uve di scarso equilibrio compositivo, incapace di dare vini che non siano brucianti per l’alcol, poveri di colore, duri e astringenti per i tannini.
Particolarmente sensibile alle pratiche d’allevamento, dunque, ma anche all’ambiente colturale.
Infatti, anche se è uno dei vitigni italiani più antichi (le prime citazioni risalgono a poco meno di otto secoli or sono), e fin dal passato tra i più rinomati, non pare essersi mai allontanato dal cuore del Piemonte e dall’arco alpino nord-occidentale.
Ma è proprio così? È proprio questo il luogo d’origine del Nebbiolo?
Da qualche anno abbiamo cercato di capirlo, basando le nostre ricerche sull’analisi di segmenti del DNA nucleico e paragonando il profilo genetico del Nebbiolo con quello di altre cultivar, provenienti dalla stessa area viticola o coltivate in vari luoghi d’Italia e d’Europa.
Ne è emerso un quadro intricato, e ancora in buona parte da decifrare, ma è certo che il Nebbiolo presenta legami di parentela assai stretti (cioè di primo o di secondo grado) con un numero rilevante di vitigni dell’Italia Nord-Occidentale.
Alcuni, come Freisa e Vespolina, sono varietà minori piemontesi di una certa importanza colturale: diffusa in tutta la regione la prima, presente nel Nord-Piemonte e sporadicamente nell’Oltrepò Pavese la seconda. Altre sono varietà poco o per nulla conosciute, perché oggi in via d’abbandono se non prossime a scomparire.
Un discendente del Nebbiolo è risultato, ad esempio, il Bubbierasco, un vecchio vitigno recuperato nel Saluzzese, in provincia di Cuneo, probabilmente originato da un incrocio spontaneo tra Nebbiolo e un’altra cultivar locale, il Bianchetto.
Ma sono ben altre 7 le varietà che, tra le mille e più analizzate, hanno altissima probabilità d’essere antenati o progenie del Nebbiolo, spesso a loro volta unite da legami di consanguineità di primo grado (genitore/figlio) o di secondo grado (fratelli).
Curioso è il fatto che 6 delle 7 varietà in questione sono vitigni propri della Valtellina, un tempo diffusamente coltivati e oggi anch’essi relegati al ruolo di comparse a favore della più pregiata “Ciuvinasca”, il nome locale del Nebbiolo.
È ipotizzabile allora pensare che il Nebbiolo, colturalmente legato all’ambiente alpino, sia veramente originario della Valtellina?
È ipotesi possibile, ma azzardata allo stato attuale delle conoscenze. Non sappiamo, ad esempio, se il Nebbiolo, in ciascun legame genetico, è genitore o progenie; non sappiamo quali sono i suoi presunti genitori, né il partner (o i partners) con cui il Nebbiolo ha generato le altre cultivar.
Un bel rompicapo, insomma, che sarà possibile chiarire solo a patto che gli elementi del puzzle (genitori e partners) non siano già scomparsi, inghiottiti dal continuo evolversi dell’assortimento varietale.
Del resto il Nebbiolo, con la sua spiccata variabilità intra-varietale, già ci aveva abituato alle stranezze. Le analisi genetiche hanno confermato, com’è noto, che il Nebbiolo Rosé non ne è una sottovarietà ma, a tutti gli effetti, una cultivar distinta, che si colloca proprio fra quelle strettamente imparentate con il Nebbiolo.
Da indagini recenti è emerso che essa non è limitata al solo areale albese, ma si ritrova anche in vecchi vigneti del Roero, in Valle d’Aosta e perfino in Valtellina, dove è chiamata Chiavennaschino e dove, per la sua rusticità, è presente sui ripidi terrazzi della Sassella affacciati sulla città di Sondrio.
Un vitigno che non fa che stupire, il Nebbiolo: con il suo carattere suscettibile, singolare e stravagante, chissà quante sorprese ancora ci riserva.