L'ANGOLO DELLA VIGNA
di Anna Schneider

 

La tutela dell'autoctono

Autoctono: un vocabolo diventato negli ultimi anni la parola magica del nostro settore agro-alimentare, così come “sostenibile” lo è stata per i processi produttivi.
Nella sua accezione più ampia, il concetto di autoctono riferito ad una razza, ad una cultivar, ad un prodotto, rievoca un territorio unico e ben preciso, che con la sua storia, la sua cultura, le sue tradizioni è percepito ricco di valori autentici e genuini. Un modo per distinguersi ed eccellere sui prodotti di massa, che grazie al mercato globale raggiungono ormai tutti, ma invadono le mense di mezzo mondo di monotona, anonima uniformità.
Anche nel mondo del vino il vitigno autoctono, in contrapposizione a “forestiero”, è tema di gran moda: l’autoctono è considerato uno strumento per competere nell’arena globale non già sul prezzo (chè ci vedrebbe perdenti), quanto sul valore intrinseco del nostro territorio: un patrimonio culturale, artistico e paesaggistico d’eccellenza.
L’Italia è uno dei Paesi viticoli europei più ricchi di cultivar di vite autoctone: quelle da vino ufficialmente registrate sono circa il doppio di quelle catalogate in Francia ed in Grecia e quasi il triplo di quelle riportate in Spagna.
Numerosissimi vitigni autoctoni, dunque, ma anche numerosi territori in Italia, ciascuno con il proprio, o con i propri autoctoni.
Da qui la necessità di offrire strumenti politici di tutela dell’autoctono dal disdicevole “scippo” da parte di operatori esterni al territorio stesso.
Il 7 maggio 2005 è stato pubblicato l’accordo tra il MIPAF e le Regioni, concernente la “Tutela e valorizzazione delle produzioni ottenute da vitigni autoctoni o di antica coltivazione”.
Tale accordo stabilisce che l’uso del nome del vitigno (autoctono o di antica coltivazione) e dei relativi sinonimi nella designazione e presentazione dei vini può essere limitato ad un ben preciso territorio di produzione, ritenuto storico o tradizionale per quel vitigno, o a specifiche menzioni nell’ambito del disciplinare di produzione di determinate DO o IGT.
Il MIPAF, avvalendosi del Comitato nazionale per la classificazione delle varietà di vite, su istanza delle Regioni interessate, approva la lista positiva dei vitigni autoctoni soggetti alle predette limitazioni.
Le Regioni dal canto loro, nel presentare le istanze, “predispongono idonea documentazione storica e tecnica atta a suffragare la richiesta”.
L’attuale situazione è che molte Regioni hanno inoltrato al Ministero la lista dei vitigni autoctoni da tutelare nell’ambito del proprio territorio regionale (o provinciale), senza predisporre, almeno per ora, l’idonea documentazione storica e tecnica.
Ne è risultato che, almeno in questa fase, con la sola esclusione di vitigni italiani di ampia diffusione, per tutti gli altri ogni regione ne ha richiesta la tutela, ovvero il legame inscindibile con un determinato, proprio territorio.
Dal canto suo il MIPAF non ha emanato alcuna linea guida per il Comitato nazionale che dovrebbe approvare o respingere le liste proposte senza sapere, dunque, con quali criteri.
Del resto questi criteri non sono di facile definizione. Come valutare, infatti, le “idonee documentazioni storiche”, quando è ben noto che, in assenza di descrizioni precise dei vitigni citati (generalmente assenti, soprattutto per i documenti più vecchi) e dei quanto mai frequenti casi di sinonimie ed omonimie tra cultivar di vite, è spesso impossibile definire con certezza se il vitigno citato allora corrisponde a quello di oggi di cui s’invoca la tutela?
Come escludere che una varietà diventata colturalmente importante in un luogo per il quale si fa istanza di tutela, non provenga in realtà da una zona diversa, che altrettanto giustamente potrebbe reclamarne prima o poi l’origine e l’esclusivo patrocinio?
I vitigni hanno spesso viaggiato, e talvolta parecchio, nel corso dei secoli e di questi loro spostamenti sappiamo per ora poco o nulla.
Qualche informazione oggettiva comincia ad affiorare dagli studi genetici, ma siamo ancora lontani dal poter definire per questa via l’origine geografica dei molti vitigni che riteniamo nativi, o anche solo tradizionali, di determinati territori.
Siamo proprio sicuri, dunque, di voler irrigidire ancor più il sistema avallando richieste, magari legittime, ma non sempre accuratamente e scientificamente documentabili?