UNA INTERVISTA A...

Vincenzo Gerbi
DI.VA.P.R.A.

L’acronimo DI.VA.P.R.A. sintetizza il Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali.
Si tratta di un dipartimento in cui operano ricercatori di diversi settori disciplinari che vanno dall’Entomologia, alla Patologia vegetale, alla Chimica agraria, al Miglioramento genetico, alle Biotecnologie vegetali. L’attività di ricerca in campo enologico viene svolta nel settore del Dipartimento dedicato alle Tecnologie alimentari, dove si studiano anche altri prodotti territoriali. Il settore, di cui il professor Vincenzo Gerbi è coordinatore, conta oggi su otto ricercatori strutturati e quasi altrettanti dottorandi di ricerca e collaboratori esterni.
OICCE Times ha incontrato il professor Gerbi, che è una persona di riferimento nello studio dell’enologia del Piemonte, perché ci tracci un quadro delle attività e dei progetti del dipartimento in cui opera ed anche per sentire la sua opinione su alcuni aspetti in merito ai quali l’enologia italiana deve sicuramente riflettere se vuole essere competitiva, indipendente e propositiva.

Come è strutturato il Corso di Enologia?
Il corso di Enologia è uno dei corsi fondamentali del Corso di Laurea triennale in Viticoltura ed Enologia che si svolge tra le sedi di Grugliasco ed Alba. L’insegnamento dell’Enologia è articolato in diverse discipline specifiche che insieme impegnano circa 45 dei 180 crediti che costituiscono l’intero Corso di Laurea. Altrettanti crediti sono dedicati alle discipline collegate all’insegnamento della Viticoltura. La restante parte è dedicata alla formazione di base, allo stage ed alla relazione finale. Qualificanti per la formazione degli studenti sono i crediti dedicati agli stage aziendali che occupano circa tre mesi.

Quanti studenti lo frequentano, che formazione hanno e da dove provengono?
Il Corso di Laurea è a numero chiuso per 65 studenti all’anno. Tale numero viene quasi sempre raggiunto, anche se solo due terzi circa giungono effettivamente a conseguire il diploma. Oggi la laurea in Viticoltura ed Enologia è l’unica che consente agli studenti italiani di poter svolgere la professione di enologo, quindi una parte degli iscritti, circa il 45%, a Torino è costituita da diplomati della Scuola Enologica di Alba, la restante parte deriva dalle più svariate scuole superiori con una prevalenza dal Liceo scientifico e dagli Istituti tecnici agrari e industriali.
Il Corso di Laurea della nostra Università raccoglie iscritti dal suo bacino geografico (Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta), ma da molti anni prosegue la tradizione dell’iscrizione da altre regioni, in particolare dalla Sicilia.
Il relativo successo occupazionale di chi ha completato questi corsi di laurea e la possibilità di ottenere un titolo professionale spendibile, hanno spinto molti atenei, dopo la riforma del 1999, ad attivare corsi laurea in Viticoltura ed Enologia, praticamente in tutte le Regioni a vocazione viticola. Oggi sono 18 in tutta Italia e questo ha limitato la mobilità inter-regionale. Da parte di qualche osservatore si lamenta una eccessiva proliferazione di questi corsi di laurea. Il pericolo c’è, ma ritengo personalmente che la qualità dell’offerta didattica, con il tempo, determinerà una naturale selezione. Inoltre è utile ricordare che i corsi di laurea di secondo livello (es. Scienze Viticole ed Enologiche) hanno visto la collaborazione di diversi atenei che hanno dato vita a consorzi per unire le competenze e regolare il numero di laureati prodotti. Ad esempio le Università di Torino, Milano, Palermo, Foggia e Sassari lavorano insieme dando vita ad un corso specialistico biennale di cui il primo anno è comune e si svolge ad Asti. Il secondo anno può essere svolto in Piemonte in una delle sedi universitarie (Alba, Grugliasco), o convenzionate (Enosis), oppure in una delle sedi universitarie consorziate.

Qual è la possibilità
di inserimento dei vostri laureati?

Si può dire che attualmente la considerazione delle aziende nei confronti dei laureati in Viticoltura ed Enologia è buona, ma il loro inserimento è piuttosto lento.
Un periodo di praticantato per i laureati è fondamentale per acquisire una conoscenza delle operazioni studiate e per prendere confidenza con la filiera produttiva. In seguito l’inserimento avviene abbastanza facilmente con mutua soddisfazione.
Sono convinto che la necessità di competere da posizioni di qualità, non solo dichiarata ma perseguita in ogni punto della filiera, favorirà l’affermazione dei nostri laureati.

Come è composto il vostro gruppo di ricerca enologica?
Il gruppo di ricerca che si occupa specificamente di enologia è piuttosto esiguo e conta su quattro ricercatori appena, con i quali collaborano un paio di dottorandi di ricerca e altrettanti ricercatori a contratto. L’attività di queste persone è per oltre il 50% assorbita dall’attività didattica. Per quanto mi riguarda personalmente, pesano poi in maniera rilevante le attività collegate al funzionamento delle sedi didattiche esterne ed al coordinamento didattico.
Quali sono i principali lavori di ricerca da voi effettuati negli ultimi anni in campo enologico?
Sono diversi i temi di ricerca affrontati, ma negli anni recenti tutti avevano un filo comune: conoscere meglio il patrimonio fenolico dei vitigni piemontesi e affrontare le problematiche tecnologiche legate al loro trasferimento nel vino e alla loro stabilità nel tempo. In questo filone si inseriscono i lavori dedicati alla messa a punto di tecniche analitiche per la determinazione della maturità fenolica, all’applicazione della Texture analysis all’uva da vino ed allo studio della microssigenazione.

Quali sono i progetti di ricerca
in corso e in programma?

Stiamo lavorando attualmente sulla caratterizzazione e sulla valutazione del valore enologico di vitigni autoctoni piemontesi e liguri. La produzione di vini fortemente caratterizzati dall’influenza varietale e territoriale pensiamo che sia la scelta più opportuna per affrontare la concorrenza internazionale, capace di produrre vini ottimi, ma spesso accomunati da un unico modello produttivo “internazionale”. Perseguire tale obiettivo richiede però un notevole lavoro di studio interdisciplinare (genetica, viticoltura, enologia) che in Italia è cominciato molto tardi.
Un altro progetto in corso ha come obiettivo lo studio della shelf-life dei vini moscato. In questo progetto sono coinvolti istituti di ricerca come il CRA ISE di Asti, il CNR IVV di Grugliasco, alcune cantine sociali e aziende private che realizzano la parte applicativa della ricerca.
Qual è secondo lei la possibilità di collaborazione fra la cantina privata e la ricerca accademica?
Questo è sicuramente un punto critico. Per quanto concerne direttamente il nostro gruppo, la collaborazione delle aziende per realizzare attività sperimentali su scala industriale è buona. Non altrettanto il sostegno economico alla ricerca che è praticamente inesistente da parte dei privati. I fondi per la ricerca di cui disponiamo nel settore enologico sono praticamente tutti pubblici e provengono principalmente da fondi regionali. I produttori, salvo poche eccezioni, considerano ancora la ricerca come una competenza esclusivamente pubblica. Sono disponibili ad investire per il miglioramento del prodotto, ma in questo caso preferiscono finanziare un consulente. La differenza di capacità di ricerca tra le nostre università e quelle americane, francesi e australiane in questo settore è enorme, ma questo accade non solo per nostro demerito. Nella vicina Francia metà dei giovani ricercatori che svolgono un dottorato di ricerca nel settore enologico è finanziato direttamente dai produttori, da noi questa evenienza è episodica.
Questa situazione non presenta a breve molte possibilità di miglioramento. Infatti si sta affermando il pensiero che le risorse eventualmente disponibili per il mondo del vino vadano spese prioritariamente per la promozione. La ricerca in enologia è considerata poco produttiva perché ha già raggiunto i principali obiettivi (stabilità dei vini, sicurezza alimentare) e non si vede cos’altro ci sia da scoprire a favore di una industria tradizionale (in fondo il vino si fa da millenni). In realtà nel campo analitico, biotecnologico e tecnologico sono molte le idee da sviluppare per dare competitività al settore, senza massificare i prodotti, anzi trovando gli elementi che possono massimizzare l’espressione della diversità varietale e territoriale.

DIETRO LE QUINTE...

Che qualità deve mostrare un futuro enologo?
Una spiccata curiosità tecnica e culturale che gli consenta di prestare la propria attività con passione nella produzione di una bevanda come il vino, che è un elemento caratterizzante della nostra civiltà, della nostra cultura, nonché una bevanda sana e ricca di suggestioni emozionali.

Che cosa la colpisce di più in un vino?
Cerco nel vino l’equilibrio e l’eleganza delle sensazioni olfattive, gustative e tattili, ma soprattutto l’originalità legata alla espressione varietale e ambientale. Sono comunque molto curioso e non ho un vino preferito in assoluto. Naturalmente conosco meglio i vini piemontesi e mi danno sempre un senso di tranquilla sicurezza.