L'OPINIONE DEL PRESIDENTE
di Moreno Soster

Il Socio

 

Un intenso e soleggiato pomeriggio di primavera, e le colline vitate della Valpolicella, hanno ospitato nell’aprile scorso i lavori della nostra Assemblea 2006.
In quell’occasione, completate le dovute prassi istituzionali, il dibattito si è acceso su un aspetto strategico della vita associativa.
Nei mesi precedenti il Consiglio aveva avviato una riflessione su quello che è il pilastro portante di ogni organizzazione non profit: il capitale umano ossia la base associativa. Nel tentativo di favorire una migliore realizzazione degli obbiettivi istituzionali, compatibilmente con l’economicità e la sostenibilità della gestione, il Consiglio aveva proposto di limitare ai soli soci collettivi l’adesione all’associazione, aprendo contemporaneamente ai soci individuali la possibilità di continuare a partecipare, seppur passivamente, alle attività OICCE attraverso l’abbonamento all’organo di stampa associativo, OICCE TIMES.
A sorpresa, ma con piacere, ho assistito alla fiera presa di posizione dei soci individuali presenti, i quali hanno argomentato e sostenuto l’opportunità di mantenere la base associativa composta, secondo il dettato statutario, da soci collettivi e soci individuali.
Molti hanno sostenuto come la possibilità di aderire in forma individuale spesso consentiva al personale tecnico aziendale di avere aggiornate informazioni, pur in assenza di una volontà di adesione da parte del proprio datore di lavoro.
Spesso consentendo loro di migliorare la propria capacità lavorativa e, naturalmente, quella dell’azienda di appartenenza. Peraltro, in alcuni casi, questo ha generato una successiva adesione dell’azienda all’associazione.
È sicuramente encomiabile la responsabilità personale che porta il singolo a scelte di appartenenza che non necessariamente sono condivise, o semplicemente considerate, dall’azienda per cui lavora. In fondo anche così otteniamo lo scopo di favorire la circolazione delle conoscenze che ci sta a cuore.
Meno positivo è il comportamento dell’azienda che, pur essendo interessata alle attività associative, decide di partecipare in qualità di socio individuale.
Forse il nocciolo della questione è tutto qui.
Ogni associazione non profit quando nasce definisce chiaramente i propri obbiettivi, che spesso sono prevalentemente di natura culturale, sociale, partecipativa e finalizzati a dare voce a bisogni collettivi che non sono soddisfatti a sufficienza dal mercato o dalla pubblica amministrazione.
Così ha fatto OICCE cercando di favorire la circolazione di informazioni storiche, tecniche e scientifiche nel mondo della vite e del vino, in un’ottica di evoluzione culturale ed economica di questo importante settore dell’agro-alimentare italiano.
L’intenzione era ed è sostanzialmente quella di favorire la crescita di un rinnovamento della cultura enologica italiana, mutuando la finalità di utilità sociale, più squisitamente pubblica, con un assetto organizzativo ed una economicità della gestione tipicamente private. In questo contesto il socio è contemporaneamente colui che condivide le finalità dell’associazione e ne sostiene, coerentemente con la propria dimensione e possibilità, i costi (finanziari certo, ma anche organizzativi e di contributo di idee).
Questo è tanto più semplice quanto più l’associazione è in grado di mantenere nel tempo la spinta motivazionale della propria base associativa. Compito non facile quando si opera su una materia ad alto rischio, quale è l’introduzione di innovazione nell’impresa, che si trova compressa dalla dinamica sempre più spinta di ogni settore economico combinata all’evoluzione degli scenari di mercato.
Tuttavia il cardine dell’azione di OICCE continua ad essere il socio, che dentro di sé, nel suo ambito lavorativo, ha maturato la consapevolezza e il bisogno di andare oltre la quotidianità con la curiosità e la voglia di mettersi in gioco.
Un socio alla ricerca di nuovi orizzonti, stimoli e sfide. Prima di tutto in un percorso di crescita personale, ma anche per provare a condividere con gli altri il desiderio di fare qualcosa di nuovo e di utile per la viticoltura e l’enologia del proprio territorio, e non solo.
Insomma, per crescere insieme. Se questo è lo spirito che anima la nostra base associativa, è naturale avere soci collettivi e soci individuali propositivi e attivi.
Come Presidente e come Consiglio abbiamo l’onere e l’onore di coltivare questo spirito di appartenenza ad OICCE, che è la traduzione collettiva di una predisposizione d’animo individuale.
Così come lo ha dipinto Giorgio Gaber in una delle sue ultime canzoni: “L’appartenenza non è un insieme casuale di persone, non è un consenso a un’apparente aggregazione. L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé”.