L'OPINIONE DEL PRESIDENTE
di Moreno Soster

Vino Nuovo

Durante il Convegno OICCE di Pescara ho avuto l’occasione di riflettere su un aspetto del vino che non avevo finora considerato. Come sapete si è parlato dell’uso dei gas in enologia, un tema che OICCE aveva affrontato una decina di anni fa, ai suoi esordi, e che abbiamo pensato di riproporre. Alla luce delle nuove acquisizioni maturate in questo decennio ma anche dei mutati scenari tecnici, politici ed economici del settore. In una pausa dei lavori, ricchi di stimoli e di proposte, un giornalista mi ha rivolto una domanda interessante: “Ma è proprio necessario usare questi gas nel vino?”.
Approfondendo meglio la questione, ho capito che i timori del mio interlocutore non nascevano dalle potenziali difficoltà d’uso in cantina oppure da un possibile aumento dei costi di produzione, ma piuttosto dalla più generale percezione negativa dei gas – sentiti come pericolosi – che avrebbe potuto offuscare l’immagine tradizionalmente positiva del vino. Mi è parso di cogliere, nell’ansia di quella domanda, un concetto di tradizione indissolubilmente legato ad un’immobilità intellettuale che non è normalmente accettata per gli altri prodotti presenti sul mercato. In un mondo e in un tempo in cui i computer che utilizziamo invecchiano ogni sei mesi, e le auto che ci trasportano moltiplicano le proprie dotazioni tecnologiche, possiamo pensare di produrre il vino con i metodi di Noè?
È abbastanza singolare che la stima per la spinta innovativa e la novità creativa di cui godono altre professioni tecniche, sia sempre percepita con sospetto quando interpretata dagli agronomi o dagli enologi. Di certo va considerata la tendenziale diffidenza dell’agricoltura ad accettare le novità. Spesso si assiste ad una prova di forza tra la conoscenza locale consuetudinaria e l’innovazione tecnica basata su teorie scientifiche. E forse è normale, considerando la complessità del sistema agricolo dove le componenti biologiche ed ambientali hanno un peso tale da mettere in crisi approcci di taglio troppo ingegneristico o strettamente economico.
Per questo spesso occorrono tempi lunghi per affinare l’innovazione e renderla accettabile dall’impresa vitivinicola.
Un passo avanti sono senz’altro i sempre più frequenti casi in cui le innovazioni tecnologiche non sono portate in azienda, ma sono realizzate in azienda, ossia sono frutto di una collaborazione stretta e condivisa tra produttori e ricercatori che stimano reciprocamente i propri saperi e sono coesi verso obiettivi di innovazione. Si rompe una prima barriera emotiva verso il nuovo perché il produttore può “controllare” in corso d’opera l’innovazione prodotta, magari anche grazie al suo contributo di conoscenza e di esperienza materiale. Ma un secondo aspetto rilevante è che modificare il vino, così come il cibo, mette in discussione il delicato rapporto del consumatore con la propria alimentazione. Un filo che si è spezzato nel momento in cui, con la scomparsa della famiglia contadina diffusa, si è persa la conoscenza di come si produce un alimento. E quindi ogni prodotto che giunge in tavola è osservato più per i rischi presunti che per i benefici evidenti (mancanza di difetti, sapori e profumi desiderabili, comodità d’uso, ecc.). Circa 50 anni fa si è avviata un’agricoltura più “industriale” e produttiva che cercava di contemperare l’esodo dalle campagne con il mantenimento dell’autosufficienza alimentare: un periodo che ha esasperato l’obiettivo di produzione quantitativa, anche a causa di una distorta interpretazione e applicazione delle politiche agricole di sostegno. Tuttavia da oltre vent’anni l’agricoltura - e la viticoltura e l’enologia sono state antesignane in questo - ha riconsiderato la propria strategia sviluppando tecniche sempre più rispettose dell’ambiente e orientate alla qualità dei prodotti. E qui torniamo ai nostri gas in enologia. Ho spiegato al mio interlocutore che usare i gas in enologia, non soltanto non era pericoloso ma, anzi, migliorava la tecnica di produzione del vino; infatti, per esempio, una saturazione di alcune fasi di lavorazione con gas inerti riduce drasticamente le ossidazioni del vino e quindi la necessità di ricorrere all’anidride solforosa che, pur tradizionalmente impiegata con ottimi risultati tecnologici, porta con sé alcuni inconvenienti sia di tipo salutistico sia a livello organolettico. L’immagine dei gas si può spostare quindi da problema percepito a beneficio dimostrato. È sempre più necessario che la scienza e la tecnica agricola recuperino i modi e le parole per dialogare con produttori e consumatori.
Occorre tracciare un cammino evolutivo in grado di coniugare le esperienze locali con l’avanzamento delle conoscenze scientifiche, ma anche di rendere comprensibile come il nuovo di oggi non sia per forza negativo, ma piuttosto figlio del nuovo di ieri che oggi chiamiamo tradizione.