UNA INTERVISTA A...

Luigi Bosca

I Bosca sono una storica famiglia di Canelli. Hanno prodotto e commerciato il vino di generazione in generazione, dal 1831 fino ad oggi. E oggi stanno ancora pensando a nuovi progetti per il futuro.
I loro esordi sono legati al primo sviluppo internazionale dell’enologia piemontese.
Ad iniziare l’attività fu Pietro Bosca (1799 - 1887), ma fu il figlio Luigi (1843-1928) a capire le opportunità che potevano venire dall’estero e ad affrontare con una lucida visione le sfide del mercato internazionale.
Iniziò col rivolgersi soprattutto agli emigranti italiani che vedevano nel vino proveniente dall’Italia la continuità di un legame con le proprie origini.
Francia, Belgio, Svizzera, Germania furono i primi Paesi dove cominciò ad affacciarsi.
Fondò la prima filiale all’estero a Nizza Marittima, non troppo lontano dal Piemonte, ma presto creò contatti con le Americhe, compiendo ben 23 traversate atlantiche in un periodo in cui una traversata era un viaggio tutt’altro che banale.
Nel 1889 a Buenos Aires aprì la prima sede d’oltremare, poi seguì New York. Luigi ne affidò la direzione ai figli Pietro e Carlo. Un altro figlio, Giuseppe (1873 -1961), rimase insieme al padre a Canelli. Fu lui a diventare l’uomo di punta dell’azienda, affrontando un periodo pieno di difficoltà, caratterizzato da eventi mai dimenticati: la Grande Guerra, il proibizionismo negli Stati Uniti, la grande crisi del 1929…
Le redini passano poi al figlio Luigi (1911-1988) quando ha solo vent’anni e sta ancora studiando Economia all’Università di Torino.
A 24 anni diventa capo di una filiale a l’Asmara dove sfrutta le nuove possibilità di commercio del vino offerte dalla guerra d’Etiopia. Investe i guadagni realizzati nell’ampliamento delle cantine canellesi e del caseggiato di famiglia, oggi palazzo Bosca.
Scoppia intanto la seconda guerra mondiale.
Sono altri anni di gravi difficoltà, ma terminata la guerra, il secondo Luigi dei Bosca parte con determinazione alla ricostruzione dell’azienda.
Il perno di questo rilancio è la produzione di vino spumante non solo a Canelli, ma anche oltre frontiera, avviando filiali direttamente nei mercati che ritiene più promettenti.
Il 1947 vede ricostituita a New York la rete commerciale, nel 1948 nasce la Bosca do Brazil a San Paolo, nel 1949 è la volta di una joint venture a Città del Messico, nel 1955 viene acquistata la Società Vini Bée, vicino a Lugano. Nel 1956, ancora seguendo i Paesi dell’emigrazione italiana, Luigi Bosca fonda in Belgio la Bosca pour le Bénélux, dove per vent’anni produce grandi quantità di spumante.
Un’altra esperienza con risvolti fondamentali è quella austriaca. Nel 1957 viene aperta ad Erlaa, a sud di Vienna, la Bosca für Österreich. Non rappresenta un successo commerciale locale, ma è ben più importante per il ruolo di trampolino di lancio che gioca Vienna verso l’Est europeo.
Partono così le prime piccole spedizioni di spumante verso Polonia, Germania dell’Est, Cecoslovacchia, Ungheria e Russia. Si stabiliscono i primi rapporti con le organizzazioni governative preposte alle importazioni e il marchio Bosca comincia ad essere conosciuto.
Questo costituisce un fondamentale vantaggio perchè quando le porte di questi mercati si aprono con maggior evidenza ai beni di non prima necessità, la Bosca, già introdotta, si trova in una posizione di privilegio rispetto ad altre ditte occidentali.
Gli anni ’60 sono anche quelli degli investimenti nei vigneti con l’acquisto di undici cascine, tutte in zone DOC e DOCG, nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo per un totale di oltre 300 ettari.
Ancora da segnalare è la creazione di una società vinicola, l’unica italiana di questo genere, in India dove, superati gli ostacoli della burocrazia e della tradizione religiosa, il vino Bosca riesce ad estendersi, oltre che agli alberghi e alla clientela internazionale, anche al consumo della popolazione locale.
All’inizio degli anni ’70 Luigi Bosca, passa ufficialmente la mano al figlio, il terzo Luigi della famiglia. Per la Bosca si apre un’altra importante fase di espansione e di rinnovamento.
Nel 1975 la Bosca, che già aveva acquistato la storica cantina Zoppa, incorpora la Robba ampliando e modernizzando lo stabilimento di produzione di Canelli.
Nel 1985 viene acquisita la prestigiosa Società Cora con gli stabilimenti di Costigliole d’Asti.
Dagli anni successivi alla fondazione, ogni protagonista della storia della Bosca ha portato avanti alcuni aspetti del passato filtrandoli, rinnovandoli e modellandoli nella propria visione dell’orientamento aziendale.
Questo è un ruolo assunto anche da Luigiterzo Bosca, che con la sua azione ha determinato 41 anni di “storia Bosca”, segnando questo periodo con successi produttivi e imprenditoriali di rilevanza mondiale.
È proprio lui che abbiamo incontrato, chiedendogli diripercorrere per OICCE Times la storia dell’azienda e di raccontarci il modo di intendere il vino che ha dato l’impronta alla sua personale attività.


Come ha vissuto la responsabilità di continuare una così lunga tradizione della sua famiglia?
Alla fine degli anni ’60 il nostro settore viveva un periodo di crisi. Anche noi, come molti, abbiamo dovuto affrontare seri problemi. È a quel punto che sono entrato in azienda. In realtà volevo fare il matematico.
Quando mio padre ha chiesto il mio aiuto, ho accettato con la garanzia che si trattava soltanto di qualcosa di “temporaneo”, invece non ho più lasciato.
Al momento del mio ingresso, a fronte di una azienda che aveva un nome molto noto, un grande patrimonio, una lunga storia, c’era una situazione difficile. Il mondo stava cambiando, cambiavano i mercati, le vendite erano calate e la concorrenza era molto forte.


Cosa ha determinato il fenomeno “Canei” e il suo boom internazionale?
Nel mio desiderio di riconvertire l’azienda, si è dato il via a molti diversi esperimenti per creare un prodotto particolare e innovativo. Abbiamo ideato una bottiglia dalla forma assolutamente originale, abbiamo deciso di riempirla con un vino frizzante e dolce, abbiamo fatto una scelta coraggiosa e per l’epoca scandalosa: la chiusura col tappo a vite.
Il nome Canei è quello piemontese di Canelli, ma in America la pronuncia “Canai” ha portato ad interpretarlo come la domanda classica “Can I?” “Posso?” alla quale la mitica risposta era “Sì, tu puoi”…
Nel giro di cinque anni siamo arrivati a venderne un milione di casse.
Un grande punto di forza del Canei è stato quello di arrivare in mercati dove non era mai arrivato il vino italiano. Questo avvenne ad esempio nella Germania dell’Est, dove il prodotto del mondo capitalista che vendeva di più era un vino francese che commercializzava 200.000 bottiglie l’anno. Noi siamo arrivati a farne sette milioni. Quando si sapeva che arrivava il Canei, la gente faceva la coda per andarlo a comprare e nei negozi veniva disposto un banco speciale solo per questo.
L’altro paese che ha dato risultati esplosivi è stato l’Olanda, dove nel giro di due anni siamo riusciti a mandare 350.000 casse. Tutti i giorni da Canelli partiva per l’Olanda un camion di Canei.
Il Canei ha fatto fuochi d’artificio anche in Israele, in Inghilterra e in tanti altri mercati. Il successo è stato confermato dalle moltissime imitazioni di cui è stato oggetto, del resto mai riuscite.
All’apice del fenomeno Canei, abbiamo capito che avremmo dovuto impegnarci in importanti e decisivi investimenti affidando tutta la vita della “Bosca” solo a questo prodotto. In quel momento ho deciso di andare ancora una volta controcorrente e di vendere il Canei alla francese Pernod Ricard.


Come ha costruito il successo del VERDI?
Dopo la separazione dal Canei immaginavo di puntare sullo spumante. In realtà la richiesta cominciò a calare e dopo due o tre anni compresi che dovevo pensare ad un’altra strategia.
Eravamo intorno al 1996, quando studiammo un prodotto originale, ancora una volta unico: il VERDI, uno spumante dolce, frizzante, dove il vino è mescolato al malto e ad altri cereali fermentati.
La prima reazione di importatori e distributori fu a dir poco titubante, ma il successo decretato dai consumatori è stato immediato.
In America nel 1997 ha conquistato il primo Hot Brands Award assegnato dalla rivista Impact, rivolto ai prodotti di maggior successo e a tutt’oggi, unico prodotto al mondo, ne ha ottenuti ben nove, in Israele è molto richiesto, così come inAustralia e in Danimarca. Il mercato del VERDI è forte anche in Lituania, Lettonia, Estonia…


Quali sono i progetti per il futuro?
C’è qualche asso nella manica da tirar fuori, anche se da tre anni ho lasciato le cariche ufficiali e la routine aziendale.
Mia figlia Pia è ora Presidente e Amministratore Delegato, l’altra mia figlia Polina, agronomo, si occupa della parte agricola e della nostra attività in India, mentre mio figlio Luigi si interessa degli aspetti finanziari internazionali.
Sono loro che mi hanno chiesto di “inventare” ancora qualcosa. Ci sto lavorando.


DIETRO LE QUINTE...

Come è nato il “Monumento allo spumante” creato per le vostre “cattedrali sotterranee”?
Ci siamo rivolti a Eugenio Guglielminetti, grandissimo scenografo, scultore e pittore che ha pensato per le nostre cantine storiche qualcosa di speciale unendo oggetti simbolici, luci e musiche collegati al mondo dello spumante e in particolare alla storia della Bosca. Ad esempio dato che la Bosca è nata nel 1831, la musica scelta come sottofondo a questo monumento è la Norma di Bellini, rappresentata per la prima volta alla Scala di Milano, proprio nel 1831, il 26 dicembre.


Come intende i legami fra vino, arte, società e cultura?
Abbiamo iniziato ad organizzare mostre, concerti, presentazioni di libri quando era una cosa ancora del tutto inconsueta nel mondo del vino.
A metà degli anni ’70 abbiamo iniziato la collezione della Pinacoteca presso la nostra Foresteria.
Il passo successivo è stato quello di avviare una collaborazione fra la Fondazione Bosca e l’Università della Svizzera italiana di Lugano per creare l’Istituto di Studi Mediterranei, rivolto a favorire l’intesa fra i popoli del Mediterraneo, con particolare attenzione verso Israele e Palestina. Grandi personalità hanno partecipato agli incontri dell’Istituto, come il Nobel per la pace del 2006, l’economista Muhammad Yunus, ideatore e realizzatore in Bangladesh del sistema di microcredito, noto come “banche dei poveri”.


Come si conciliano secondo lei tradizione e innovazione?
La capacità di innovare è la vera tradizione cui dobbiamo fare riferimento.

Come ricorda i suoi incontri con i professori Italo Eynard e Luciano Usseglio-Tomasset?
Li ricordo uno come un grande viticoltore, l’altro come un chimico prestato all’enologia. Ho conosciuto il professor Eynard in Russia. Aveva molta fantasia ed era capace di andare al di là della routine, sempre un po’ fuori dai sentieri normali. Per celebrare i 150 anni della Bosca, è stato lui a consigliarci di realizzare il vigneto con la collezione di vitigni aromatici da tutto il mondo. Il professor Usseglio, che ho frequentato per diversi anni, aveva un carattere franco, molto diretto, incapace di cedere a compromessi. Aveva una mente molto razionale e delle forti basi scientifiche. Il mondo del vino gli deve tanto. L’ho sempre apprezzato molto e nel 1996 attraverso il Centro per la Cultura e l’Arte Luigi Bosca ho pubblicato una raccolta dei suoi scritti divulgativi sui temi vitivinicoli.