L'OPINIONE DEL PRESIDENTE
di Moreno Soster

UN GESTO ANTICO E MODERNO

Solleviamo un calice di vino, lasciamo che l’effimero contatto tra vetro e labbra anticipi l’urto liquido a cui segue il contatto sensoriale che dona nuovi confini ai nostri sensi e alle nostre percezioni.
Un gesto antico, di 8000 anni, che racchiude in sé una complessità di significati che giustifica e spiega, forse, perché un succo di frutta fermentata, apparentemente voluttuario, ha avuto tanto successo nelle storia e nella cultura umana.
Un atto che si ripete nella trascendenza spirituale e religiosa come nella confusa alienazione etilista, nella separazione generata dallo status symbol come nella semplice comunione, che accompagna momenti di miseria e di nobiltà.
Ma non lasciamoci cogliere dal disorientamento e proviamo a guardare indietro per andare avanti.
Il vino originario, quello diffuso in Medio Oriente e in Egitto, era prodotto in piccole quantità e quindi consumato prevalentemente dalle classi dominanti di quelle società (i faraoni o i sovrani e il loro seguito di sacerdoti e militari).
Il cammino verso occidente della vite si accompagna ad una progressiva crescita produttiva alla quale corrisponde una “democratizzazione” del consumo del vino, che non è più riservato alle sole classi elitarie.
Tuttavia presto si ricrea una separazione, se non nella disponibilità del bene perlomeno sulla sua qualità. Nel Medio Evo, infatti, alle produzioni di eccellenza prodotte nei monasteri e nelle tenute nobiliari fanno da contraltare le partite di vino di modesto valore destinate alle masse popolari inurbate, che vi trovano un conforto alla propria umile condizione sociale.
Anche nel 1600, con la rivoluzionaria adozione della bottiglia di vetro e del tappo in sughero - che consentono l’affinamento, lo spostamento temporale del momento di consumo ed il riconoscimento economico del maggiore valore del prodotto invecchiato - si affermano anche alcuni tipi di vini speciali (lo Champagne, il Porto) per venire incontro anche alle esigenze di simboli distintivi da parte delle monarchie, della nobiltà e della borghesia mercantile dell’epoca.
Questa tendenza alla distinzione tra vini pregiati, destinati alle élite, e vini economici, per la massa della popolazione urbana, si mantiene anche nei secoli successivi e plasma interi territori che si orientano verso l’una o l’altra destinazione del proprio vino.
In Francia, già nel 1700, si distinguevano commercialmente i Grand crus dai vins populaires.
E questo ha influito profondamente sulla normazione, iniziata agli inizi del 1900, che ci ha portato alla attuale situazione in cui il mercato e la legge distinguono le produzioni enologiche a denominazione (IGT, DOC, DOCG) dai vini comuni. Ma questa lunga storia di evoluzione e segmentazione del mercato e delle tipologie di vino disponibili, generata da differenziate occasioni e modalità di consumo del vino, come sta evolvendo e quali indicazioni possiamo trarre per il futuro? La fine del XX secolo porta alcuni radicali cambiamenti: il primo è la maggiore facilità di collegamento tra le diverse aree del mondo, che sintetizziamo con il concetto di villaggio globale; il secondo è la crescita nella produzione di vino da parte di Paesi extra-europei (nel solco di una viticoltura che affonda le proprie radici nell’espansione coloniale europea del 1500-1600) accompagnata da una politica commerciale espansiva; il terzo è il progressivo calo dei consumi nei Paesi tradizionalmente produttori, a cui corrisponde una loro crescita nei Paesi nuovi produttori e non produttori di vino; il quarto è un ritorno a politiche sociali e sanitarie che mettono in discussione il consumo di alcol (che penalizzano il vino riducendone i consumi nei paesi in cui è bevanda abituale, ma favorendone l’espansione nei paesi in cui diventa sostitutivo dell’uso di superalcolici); il quinto è l’avvento di imprese multinazionali nella produzione e, soprattutto, nella commercializzazione e nella distribuzione dei vini; il sesto è un progressivo miglioramento della scolarizzazione e della capacità di spesa che determinano confini sempre più sfumati nelle classi sociali (in particolare per il mondo “occidentale”, che è il principale mercato del vino).
A partire da questi elementi è possibile immaginare come il vino proseguirà, e in maniera accelerata rispetto al passato, la sua espansione nel mondo confrontandosi con modi e abitudini di consumo profondamente differenti ed in continua evoluzione.
Se nei consumatori, di molti Paesi non produttori, il vino ha iniziato a penetrare come sostitutivo dei superalcolici al di fuori dei pasti, ora è maggiormente apprezzato nel consumo abbinato alla cucina del paese di origine (ed in questo la cucina italiana ha sicuramente notevoli vantaggi).
Probabilmente una parte dei vini continuerà ad essere vissuto come status symbol, ma contemporaneamente si sta affermando una preferenza dei consumatori verso prodotti qualitativamente validi con un buon rapporto qualità-prezzo. In questo campo il ruolo delle multinazionali che operano nella grande distribuzione appare fondamentale per la loro capacità di coniugare penetrazione di mercato, ampliamento di gamma e politiche di prezzo al consumo.
La sensazione complessiva è che si berrà meno vino che in passato ma sarà di qualità migliore, e se diminuiranno i consumatori in alcune parti del mondo aumenteranno in altre (recenti proiezioni indicano che a breve i consumi di vino negli USA supereranno quelli italiani e saranno sempre più vicini a quelli francesi – primi due Paesi al mondo per i consumi - e per il 2011 si prevede che in Cina stapperanno più di 1 miliardo di bottiglie).
E tutto questo rafforza la percezione di una straordinaria capacità del vino, e degli uomini e delle donne che lo coltivano con passione, di attraversare il tempo e di accompagnarci nel cammino della nostra vita e della nostra storia.