L'ANGOLO DELLA VIGNA
di Anna Schneider

 

Che cosa è un microsatellite?

Marcatore molecolare, PCR, sequenziamento, gruppi di linkage, trascritti, librerie genomiche… sono termini che ricorrono sempre più spesso anche nei contesti meno tecnici e specialistici, soprattutto da quando la genomica, e in generale le scienze cosiddette “omiche” come proteomica, metabolomica, trascrittomica, sono divenute i pilastri fondamentali del progresso scientifico in campo biologico. Vi sono linguaggi, metodiche, processi che solo gli specialisti sanno comprendere, ma è anche vero che alcune applicazioni, generalmente tra le meno complesse, hanno saputo rispondere così bene non solo a obiettivi di ricerca, ma anche alla soluzione di problemi pratici, da divenire tecniche diffuse, consolidate, quasi date per scontate nei loro principi e funzionalità. È questo il caso dei cosiddetti marcatori microsatelliti, con cui ci si imbatte frequentemente trattando di molte specie, tra cui la vite, sia per scopi di fingerprinting, nell’identificazione cioè delle cultivar, che nelle analisi di parentele, negli studi di popolazioni e in altri campi della genetica. Che cosa sono esattamente e perché sono così studiati questi elementi del genoma dal nome curioso? Qualcuno ha definito i microsatelliti come il linguaggio prodotto da un DNA balbuziente: consistono infatti in corte sequenze di nucleotidi, ripetute generalmente da 10 a 100 volte. Se, ad esempio, un certo tratto del DNA ha una sequenza CTCATTGAATCGAGT, dove le lettere stanno a indicare le note quattro basi citosina (C), timina (T) adenina (A) e guanina (G), una sequenza microsatellite si presenterà ad esempio come CTCTCTCTCTCTCTCTCTCTCTCTCTCT, ovvero con la coppia di basi CT ripetuta 14 volte. Tali sequenze ripetute prendono il nome di Simple Sequence Repeats (SSR) oppure di Short Tandem Repeats (STR) mentre il termine “microsatellite” allude al fatto che sequenze corte ripetute tendono a formare una seconda banda (banda definita “satellite”) quando il DNA genomico è separato in base a un gradiente di densità. Pur non comprese normalmente all’interno di geni, ovvero di porzioni del DNA funzionali alla codifica dei caratteri fondamentali, queste piccole sequenze ripetute hanno la particolarità di presentarsi di lunghezza diversa, ovvero con numero di ripetizioni diverse, tra i diversi vitigni, e di essere trasmesse alla progenie in modo che ogni individuo porta, uno per cromosoma, un tratto (definito allele) di origine paterna e uno di origine materna. Da ciò si capisce come sia possibile risalire all’identificazione di un vitigno confrontando la lunghezza di un certo numero di queste particolari sequenze sparse nel genoma con quelle di vitigni di identità certa. Generalmente bastano 6-8 diversi microsatelliti, ovvero 6-8 sequenze ripetute presenti in altrettanti regioni del DNA, per avere scarsissime probabilità di sbagliare nel riconoscere un campione sconosciuto in un vitigno noto. Nell’identificazione di eventuali parentali, invece, stabilito che una cultivar di vite prende origine nella maggior parte dei casi da un semenzale derivato dall’incrocio di due vitigni genitori, occorre esaminare un gran numero di microsatelliti, almeno 30-40, in altrettanti siti (o loci) del genoma. In questo caso la condizione è che ciascuno dei due parentali condivida con la prole almeno uno dei due alleli per tutti i siti esaminati. In definitiva si tratta di principi e metodi molto simili a quelli usati in criminologia e nei test di paternità per la specie umana. Tornando alla vite, l’analisi di questi particolari tratti del genoma, o marcatori molecolari, messa a punto una quindicina di anni or sono, è utilizzata ormai da numerosi laboratori nell’esame dei vitigni un po’ di ogni parte del mondo: molti sono i profili microsatelliti pubblicati e databases molecolari sono accessibili on-line. Si amplia sempre più la possibilità di confrontare profili, di mettere dati in comune, di stabilire sinonimie in zone viticole anche distanti. Un bel passo avanti per una specie tra le più ricche di cultivar, la cui identificazione e corretta denominazione rimane uno dei target fondamentali.